
INTRODUZIONE ALLA STAGIONE
RIFUGI – SECONDO TEMPO
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“Poiché resta un sogno di bambino, la capanna, rannicchiata nel fondo del nostro immaginario, permette di ritrarre, come un’opera d’arte, l’ideale di una relazione intima tra esseri umani. Nelle nostre storie di infanzia c’è sempre una capanna: quella che costruivamo nel bosco vicino al paese in cui andavamo in vacanza, quella di Robinson Crusoe, quella dei romanzi di Jack London. Quello che ci attirava e che continua a sedurci nell’immagine della capanna è la doppia e paradossale mossa che consente: il ripiegamento (è piccola, è fatta a misura dell’individuo o della coppia che vi si rannicchia) e l’apertura (non appena spinta la porta, aperta un po’ la finestra, la natura è là, accogliente o minacciosa, sempre un po’ misteriosa, tenuta a distanza da qualche asse fragile ma efficace, che tuttavia ne lascia filtrare i profumi, i rumori, il respiro). La capanna è il lusso dell’individuo che ne fa il suo spazio personale e vi gode di una libertà completa, anche se lo spazio è ridotto e il tempo limitato. La capanna non è destinata ad essere abitata, ma al fare: il boscaiolo, il pescatore, il cacciatore possono avere una capanna. Essa consente il sogno e risveglia i sensi solo a condizione di servire a qualcosa; i bambini l’hanno capito e non inventano capanne se non per fare giochi di ruolo. La capanna è un simbolo. Si sa e si vuole un’immagine, un’immagine che viene mostrata agli altri, non tanto perché facciano finta di crederci, ma perché vi riconoscano, vi ritrovino qualcosa dei loro desideri. La capanna è dunque un’immagine, un simbolo che unisce. O, detto altrimenti, un’opera d’arte.”
Marc Augé [La mia capanna in Canada o altrove]
Lanciamo questa stagione, composta da molte ospitalità programmate per la stagione scorsa ed alcune nuove produzioni della Compagnia che siamo felici di presentare al nostro pubblico, con l’intenzione di ricucire ciò che la pandemia ha interrotto. Ricucire il dialogo tra artisti e spettatori, la relazione tra spettatore e spettatore, il ponte tra arte e città. È nostro compito e desiderio ricreare le condizioni affinché possiamo incontrarci insieme dal vivo e la parola poetica possa svolgere nuovamente il suo effetto nei cuori delle persone. Ci auguriamo che il nostro piccolo-grande rifugio, il Teatro Piccolo Orologio, possa fungere da catalizzatore per questa reazione di rinnovato incontro.