Una specie di preghiera

scritto, diretto e interpretato da Alice Giroldini 
figure Noemi Giannico 
scene Marco Merzi e Noemi Giannico 
light design Marco Maccieri
raccolta interviste Lara Sassi
assistente alla regia Noemi Giannico 
si ringrazia Riccardo Bursi per i brani orginali
produzione Centro Teatrale MaMiMò
realizzato grazie al contributo dell’8×1000 di UBI –  Unione Buddhista Italiana all’interno del progetto InVita

ph. Nicolò Degl’Incerti Tocci

“Che morte, non voler più morire”
Cesare Pavese 

In scena una donna sola e un vuoto, un vuoto che non può essere riempito; 
un buco che è ferita, uno spazio di ricordo, di apparizioni e di domande. 

In che modo la morte oggi è presente nelle nostre vite?
Come ci rapportiamo alla nostra mortalità?
Come si elabora un lutto?
Quanti lutti abbiamo vissuto?
Quanti ne abbiamo elaborati?
Quanti ci terrorizzano?

In un continuo dialogo con il pubblico e con se stessa, fatto di buffi aneddoti, richieste d’aiuto disperate, ricordi antichi, sogni, questioni filosofiche, piccole ossessioni, confessioni, visioni, la protagonista attraversa le diverse fasi di elaborazione del lutto, un lutto rimasto in sospeso, ancora incastrato tra le pieghe di un passato che si ripresenta per essere risolto; un lutto particolare che diventa però universale, paradigmatico per l’esperienza della morte in generale, un attraversamento collettivo di quella selva oscura che ci riguarda più di quanto immaginiamo e accettiamo. 

“Io non accetto la morte, restiamo nemiche io e lei”

Così esordisce la donna all’inizio dello spettacolo, è la sua dichiarazione di guerra, è la spinta che la porta ad iniziare, che da il via ad una lunga corsa ad ostacoli nel tentativo di trovare un senso. 

Alla fine il senso non verrà trovato, non ci risposte da poter elargire, ma l’urlo di dolore può diventare un canto, e attraverso i fitti rami del bosco è possibile intravedere dei fili di luce, perché  la natura canta continuamente un canto che dice che la morte è vita.

Confrontarsi con la propria mortalità, attraversare il bosco e uscirne trasformati.

“Ed è proprio il pensiero della morte che. Infine, aiuta a vivere” 
Umberto Saba

In compagnia di una bambola e di una marionetta la protagonista incontra le sue paure, le mette in scena lei stessa, per guardarle, riconoscerle e salutarle. Allestisce un’opera in cui possano comparire tutti i morti che uno ha, gli fa spazio e gli da voce. Usa il palco per fare un gioco, “cercare nel buio qualcosa che non c’è e trovarla”; il linguaggio teatrale diventa strumento per comporre un rito fatto di parole, musica e figure, come una specie di preghiera.

Note di regia

Lo spettacolo intende esplorare il più grande e misterioso dei tabù, quello che più ci spaventa e quello che dalla nostra società contemporanea é stato esiliato: la Morte.
È possibile restaurare la Morte come parte integrante delle nostre vite?
É possibile che il pensiero della Morte ci dia la possibilità di vivere meglio?
É possibile che la Morte e la Vita siano alla fine inseparabili e che una possa dare senso all’altra?

Come ci suggeriscono le antiche Ars Moriendi, contemplare la nostra fine può farci scoprire risorse inaspettate.
Nel nostro presente capita che il rapporto con la mortalità venga negato, ma una simile negazione comporta sempre un prezzo da pagare, ovvero la restrizione della nostra vita interiore.
Nel corso del lavoro mi sono resa conto che avrei dovuto prendere delle scelte, non era possibile affrontare una mole talmente tanto grande di materiali tutti in una volta.

Il tema della Morte è come un’immensa montagna da scalare, contiene innumerevoli altri temi al suo interno: Il tabù della morte, l’eutanasia, il suicidio, la malattia, le cure palliative, la guerra, la Cura e tanti altri.
Ho deciso che avrei provato a parlare della morte come Perdita, il Lutto.
Avrei fatto uno spettacolo per chi resta, per chi è restato.
Avrei fatto uno spettacolo per i Vivi.

 

Per la messa in scena ho scelto di lavorare anche con la Figura perché credo che la Morte sia un tema troppo grande, è incomprensibile alla misura umana; la Morte è un Mistero, al quale è difficile avvicinarci, c’è bisogno di loro, marionette e ombre, che arrivano ovunque e da chiunque, perché sono universali e parlano il linguaggio antico della vita e della morte.

Abbiamo progettato due figure: una bambola, simbolo dell’infanzia e della Bambina della Fiaba che apre lo spettacolo, e uno scheletro umano a grandezza naturale.

Avevo bisogno di incontrare la Morte in scena, vedermela davanti, l’archetipo della Morte, la mia Morte, e affrontarla, fino a giocare con lei e amarla, a modo mio.

Un altro elemento importante dello spettacolo è proprio la Fiaba; si tratta di una fiaba antica che ho trovato in un libro per bambini, ed è la chiave di volta dell’intero spettacolo.
Una Bambina riesce ad intrappolare la Morte e con essa intrappolerà anche l’intera vita.

“Devi lasciare libera la Morte” le dice la Madre, riuscirà la Bambina a fare quello che è giusto fare?

La Fiaba ha una funzione parabolica e verticale all’interno del percorso della protagonista, la accompagna e la guida in quella che è l’esperienza della Morte.

“A Good Grief”, Buon dolore, ha detto qualcuno.
Un dolore fecondo, questo vorrei che nascesse in scena.

Tourneè

DataTeatroCittà
11/10/2025Officine Creative ReggianeReggio Emilia
12/10/2025Officine Creative ReggianeReggio Emilia