“Che morte, non voler più morire”
Cesare Pavese
In scena una donna sola e un vuoto, un vuoto che non può essere riempito;
un buco che è ferita, uno spazio di ricordo, di apparizioni e di domande.
In che modo la morte oggi è presente nelle nostre vite?
Come ci rapportiamo alla nostra mortalità?
Come si elabora un lutto?
Quanti lutti abbiamo vissuto?
Quanti ne abbiamo elaborati?
Quanti ci terrorizzano?
In un continuo dialogo con il pubblico e con se stessa, fatto di buffi aneddoti, richieste d’aiuto disperate, ricordi antichi, sogni, questioni filosofiche, piccole ossessioni, confessioni, visioni, la protagonista attraversa le diverse fasi di elaborazione del lutto, un lutto rimasto in sospeso, ancora incastrato tra le pieghe di un passato che si ripresenta per essere risolto; un lutto particolare che diventa però universale, paradigmatico per l’esperienza della morte in generale, un attraversamento collettivo di quella selva oscura che ci riguarda più di quanto immaginiamo e accettiamo.
“Io non accetto la morte, restiamo nemiche io e lei”
Così esordisce la donna all’inizio dello spettacolo, è la sua dichiarazione di guerra, è la spinta che la porta ad iniziare, che da il via ad una lunga corsa ad ostacoli nel tentativo di trovare un senso.
Alla fine il senso non verrà trovato, non ci risposte da poter elargire, ma l’urlo di dolore può diventare un canto, e attraverso i fitti rami del bosco è possibile intravedere dei fili di luce, perché la natura canta continuamente un canto che dice che la morte è vita.
Confrontarsi con la propria mortalità, attraversare il bosco e uscirne trasformati.
“Ed è proprio il pensiero della morte che. Infine, aiuta a vivere”
Umberto Saba
In compagnia di una bambola e di una marionetta la protagonista incontra le sue paure, le mette in scena lei stessa, per guardarle, riconoscerle e salutarle. Allestisce un’opera in cui possano comparire tutti i morti che uno ha, gli fa spazio e gli da voce. Usa il palco per fare un gioco, “cercare nel buio qualcosa che non c’è e trovarla”; il linguaggio teatrale diventa strumento per comporre un rito fatto di parole, musica e figure, come una specie di preghiera.







